domenica 25 luglio 2010

da Mattatoio N. 5 di Kurt Vonnegut / 2




“Benvenuto a bordo, signor Pilgrim” disse l'altoparlante. “Domande?”
Billy si passò la lingua sulle labbra, rifletté un momento e infine chiese: “Perché proprio io?”
“Questa è una tipica domanda da terrestre, signor Pilgrim. Perché proprio lei. Perché proprio noi, allora? Perché qualsiasi cosa? Perché questo momento semplicemente è. Ha mai visto degli insetti sepolti nell'ambra.”
“Sì.” Effettivamente, Billy in ufficio aveva un fermacarte formato da un blocco di ambra levigata con tre coccinelle incastonate.
“Be', eccoci qua, signor Pilgrim, incastonati nell'ambra di questo momento. Non c'è nessun perché.”

[...]

“Dove sono?” disse Billy Pilgrim.
“Prigioniero di un blocco d'ambra, signor Pilgrim. Siamo dove dobbiamo essere in questo momento, a cinquecento milioni di chilometri dalla Terra, e procediamo verso una distorsione temporale che ci permetterà di arrivare a Tralfamadore in poche ore anziché qualche secolo.”
“Come... Come ho fatto ad arrivare qui?”
“Ci vorrebbe un altro terrestre per spiegarglielo. I terrestri sono bravissimi a spiegare le cose, a dire perché questo fatto è strutturato in questo modo, o come si possono provocare o evitare altri eventi. Io sono un trafalmadoriano, e vedo tutto il tempo come lei potrebbe vedere un tratto delle Montagne Rocciose. Tutto il tempo è tutto il tempo. Non cambia. Non si presta ad avvertimenti o spiegazioni. È, e basta. Lo prenda momento per momento, e vedrà che siamo tutti, come ho detto prima, insetti dell'ambra.”
“Lei mi ha l'aria di non credere nel libero arbitrio” disse Billy Pilgrim.

[...]

“Come... come finisce l'universo?” disse Billy.
“Lo facciamo saltare in aria noi, sperimentando nuovi combustibili per i nostri dischi volanti. Un pilota collaudatore tralfamadoriano preme uno starter, l'intero universo sparisce.” Così va la vita.

“Se sapete tutto questo,” disse Billy, “non c'è qualche sistema per prevenirlo? Non potete impedire al pilota di premere il bottone?”
“L'ha sempre premuto e lo premerà sempre. Noi lo lasciamo e lo lasceremo sempre fare. Il momento è strutturato così.”

da Kurt Vonnegut, Mattatoio N. 5 o la crociata dei bambini, Feltrinelli, Milano 2007, p. 77, p. 85 e p. 112 (tr. it. di Franco Brioschi).


venerdì 23 luglio 2010

francesca woodman / ritratti interiori tra providence, roma e new york


francesca woodman è un'artista che utilizza il mezzo fotografico. questo non significa che non possa essere considerata una fotografa a pieno titolo, anzi. piuttosto, la scelta della woodman di servirsi della macchina fotografica permette un'ulteriore riflessione sulle sue opere e sulle specifiche della fotografia. sin dai 13 anni l'artista sceglie di scattare immagini rivolgendo l'obiettivo verso se stessa al fine di indagare tematiche da sempre care alla storia dell'arte e a quella filosofica quali il corpo, la mutazione, lo spazio e gli oggetti che ci circondano. perché proprio la fotografia e non un qualsiasi altro mezzo espressivo? perché la fotografia ha due peculiarità che la distinguono dalle altre arti: ha un'essenziale correlazione col reale (è la fotografia che serve a documentare); ed è capace di fermare il tempo, di fissarlo (a differenza del video, non è un'arte fluida). queste sono le caratteristiche che inducono la woodman a fare proprio il mezzo fotografico. L'indagine del suo corpo con la materia che vi è intorno – tanto da diventare parte di un muro, da dipingersi integralmente con della vernice, da avere un rapporto quasi morboso con alcuni elementi come gli specchi o cartelloni – rimanda ai concetti della corporeità e della chair merleau-pontyani. il corpo – nonostante e malgrado la sua individualità – diviene un tutt'uno con ciò che gli è intorno, divenendo allo stesso tempo unico e condiviso. proprio grazie alla fotografia la woodman fonde la sua nudità al mondo circostante, sfruttando la bidimensionalità della stampa baritata. spesso, i suoi scatti sono grigi, quasi opachi, a causa di una doppia esposizione che le permette di inserire se stessa e di integrarsi quasi materialmente con lo sfondo scelto. francesca woodman vive una contraddizione, che la porterà al suicidio a soli 22 anni e che forse è la stessa della fotografia: fa parte del mondo, ma ne è anche estranea. Rimanere in un limbo del genere, come dimostra l'opera della giovane artista, è sicuramente affascinante, ma allo stesso tempo assai difficoltoso.


qui tutte le informazioni sulla mostra.

qui un video di presentazione alla mostra.




giovedì 22 luglio 2010

e viceversa


anche nel caso di lindsay lohan la fotografia sembra rappresentare un'invisibile ma essenziale dogana che permette di passare da uno stato ad un altro, dall'alto al basso e viceversa. lo scatto al quale mi riferisco è quello che ritrae in primo piano la star hollywoodiana in completo arancione, tuta tipica delle carceri statunitensi. la lohan è colpevole di non aver rispettato alcuni obblighi in seguito ad una condanna di guida in stato di ebbrezza. il suo santino carcerario si va ad aggiungere ad una serie di immagini di personaggi dello spettacolo condannati per i più disparati motivi. le loro fotografie segnano l'attraversamento da una situazione di gloria e fama ad uno stato di meschinità e spregevolezza (che forse fa comunque parte della fama e della gloria). la fotografia segnaletica segna immancabilmente tale passaggio.

la connessione è labile e probabilmente gratuita, ma ogni qualvolta mi si presenta il ritratto frontale di un nome famoso neo galeotto, mi viene in mente l'utilizzo della carte de visite nella seconda metà del XIX secolo e del modo in cui questo semplice mezzo poté avvicinare le persone più umili al ritratto fotografico. erano i più poveri – la piccola borghesia e il proletariato – a voler imitare le usanze dei ceti più abbienti. la carte de visite, ideata nella parigi del 1854 da andré-adolphe-eugène disderi, permetteva con soli 20 franchi di aggiudicarsi 12 piccole stampe, mentre nadar chiedeva il quintuplo per un solo ritratto. le immagini prodotte da disderi erano di piccolo formato, maneggevoli e trasportabili, da mostrare a tutti. eppure, non furono solo i meno ricchi ad attraversare i ceti sociali: lo stesso napoleone III, incuriosito, si fece ritrarre da disderi nel maggio del 1859. dal basso verso l'alto, dall'alto verso il basso: la fotografia è la prima industria a confondere nobiltà, borghesia e proletariato. ogni classe sociale trova all'interno dell'arte fotografica un motivo di fascinazione irresistibile. gli stessi comunardi, che misero a ferro e fuoco parigi nel 1871, si fecero ritrarre fieri dinanzi alle barricate che avevano eretto per sfidare l'esercito regolare. per molti di loro, questo atto di vanità fu fatale: la polizia confischerà quelle fotografie per riconoscervi i rivoltosi e condannarli a morte. della comune in effetti rimangono numerose fotografie, ma alcune sono tra le più macabre di sempre; sarà lo stesso disderi, infatti, a puntare il proprio obiettivo verso i corpi esanimi dei comunardi condannati, fucilati e riposti ordinatamente nelle bare numerate. fotografie che rimandano alla ricerca del ritmo nei dagherrotipi delle cattedrali gotiche realizzati da henri le secq in occasione della mission héliographique. ma questa è un'altra connessione labile e gratuita...



andré-adolphe-eugène disderi, parigi 1871

mercoledì 21 luglio 2010

phil stern / sulla scena



phil stern risponde pienamente a ciò che ci si aspetta da uno come lui. gli si chiedono i ritratti di james dean, e si trovano appesi i ritratti di james dean; gli si domandano le scene da club jazz degli anni '50, e si trovano le stampe in uno sgranato bianco e nero dei locali in cui suonavano duke ellington, ella fitzgerald, louis armstrong e billie holiday; si esigono i volti delle star del cinema, ed ecco comparire marilyn monroe (triste ed allegra, pronta a qualsiasi evenienza), marlon brando, jack lemmon, john wayne, ecc. in fotografie di scena e non.

la mostra è molto semplice ed efficace. è suddivisa in piccole aree tematiche entro le quali è possibile ammirare le costanti della maestria di stern come la straordinaria capacità di mettere in risalto la matericità e la trama di ogni superficie presente negli scatti grazie al sapiente utilizzo delle luci, che spesso lambiscono di sbieco i soggetti, o l'utilizzo degli oggetti di contorno, dei muri, dei pannelli retrostanti al soggetto principale quali elementi geometrici atti ad inserire le persone ritratte in una sorta di dimensione astratta e surreale.

phil stern appartiene a quella generazione di fotografi a cui si invidia la vita che sono riusciti a realizzare. non è un eroe dannato come robert capa o un flâneur come brassaï, ma stern si è passato tutti i club migliori nei primi anni '50 fotografando situazioni che sembrano tratte dall'on de road kerouachiano più stereotipico, ha assistito alla realizzazione di alcuni dei film più importanti della storia del cinema (a qualcuno piace caldo, il selvaggio, l'orgoglio degli amberson, ecc.) e ha partecipato alle cerimonie più esclusive degli stati uniti d'america, compresa quella d'insediamento del neo presidente john f. kennedy. stern stesso, nell'intervista realizzata in occasione della mostra (la prima personale di stern in italia), dichiara candidamente che la fotografia gli ha concesso un certo tipo di potere sulle persone, un potere che stern ha saputo utilizzare al meglio entrando appieno nella bella vita americana a cavallo tra gli anni '50 e gli anni '60.

molte stampe sono dedicate a franck sinatra, col quale stern manteneva un rapporto di amore ed odio, anche a giudicare dalla corrispondenza che alla fine dell'esposizione viene mostrata. è proprio un ingrandimento del cantante italoamericano a concludere la mostra del centro forma: un uomo in impermeabile, spalle all'obiettivo, cammina in un corridoio deserto di un hotel. Solo la didascalia ci informa che sotto il cappotto c'è sinatra.


qui ulteriori dettagli sulla mostra e sulla vita di phil stern.

lunedì 19 luglio 2010

l'aquila, giugno 2010

ecco le fotografie esposte alla mostra di cui sotto.





l'aquila, giugno 2010

sabato 17 luglio 2010

artificiale / naturale


maggiori informazioni qui.
come arrivare.

giovedì 15 luglio 2010

Pascal

Hugh Miller


una manciata di luoghi comuni: il mondo è ancora tutto da esplorare, i colori riescono sempre sorprenderti, l'universo animale ha un richiamo estetico enorme nei nostri confronti, la natura sa sempre incantarti e lasciarti meravigliato come un bambino. ecco l'effetto di alcune fotografie che si trovano nel centinaio di immagini selezionate da corriere.it e estratte da life, un programma televisivo realizzato dalla natural history unit e trasmesso dalla bbc (in italia da retequattro da ieri, 14 agosto). fotografie già viste e riviste, ma sempre in grado di lasciare a bocca aperta, forse grazie alle nuove tecniche meccaniche e digitali che gli apparecchi fotografici e protofotografici utilizzano. in effetti, senza quest'ultimi alcune immagini presenti nella serie non sarebbero mai state scattate. la domanda sorge allora spontanea: è la natura a sorprenderci o la nuova scoperta tecnologica a impressionarci? ed ecco una nuova puntata della lotta fra istinto e ragione.

qui tutta la serie di immagini.

sito ufficiale di life.


mercoledì 14 luglio 2010

da Mattatoio N. 5 di Kurt Vonnegut / 1

La donna e il pony erano in posa davanti a una tenda di velluto orlata di pompon. Intorno avevano delle colonne doriche. Davanti a una colonna c'era una palma in vaso. La foto di Weary era una riproduzione della prima fotografia sconcia della storia. La parola "fotografia" venne usata per la prima volta nel 1839, e fu in quell'anno che Louis J. M. Daguerre rivelò all'Accademia di Francia che un'immagine impressa su una lastra di metallo argentato coperta da una sottile pellicola di ioduro d'argento poteva essere sviluppata in presenza di vapori di mercurio.
Nel 1841, solo due anni dopo, un assistente di Daguerre, André Le Fèvre, fu arrestato nei giardini delle Tuileries mentre cercava di vendere a un signore una fotografia della donna con il pony. Era lì che anche Weary aveva comprato la sua foto: alle Tuileries. Le Fèvre sostenne che quella foto era un prodotto artistico , e che il suo intento era far rivivere la mitologia greca. Disse che le colonne e la palma in vaso ne erano la prova.
Quando gli fu chiesto quale mito avesse voluto rappresentare, Le Fèvre rispose che esistevano migliaia di miti come quello, con un mortale rappresentato da una donna e un dio simboleggiato da un pony.
Lo condannarono a sei mesi di prigione, dove Le Fèvre morì di polmonite. Così va la vita.

[...]

Qualcuno tornò a indirizzarlo verso il retrobottega, e questa volta Billy ci arrivò. Un marinaio sazio si staccò da un apparecchio mentre la pellicola andava ancora. Billy guardò dentro e vide Montana Wildhack sola su un letto che sbucciava una banana. La proiezione s'interruppe. Billy non voleva vedere cosa c'era dopo, e un commesso lo disturbò dicendogli di venire a vedere della roba veramente buona che tenevano sotto il banco per i connisseurs.
Billy era vagamente curioso di sapere cosa poteva essere stato tenuto nascosto in un posto simile. L'inserviente guardò maliziosamente e glielo mostrò. Era la fotografia di una donna e di un pony Shetland. Stavano cercando di avere rapporti sessuali tra due colonne doriche, davanti a tendaggi di velluto con le frange.

da Kurt Vonnegut, Mattatoio N. 5 o la crociata dei bambini, Feltrinelli, Milano 2007, pp. 45-46 e p. 189 (tr. it. di Franco Brioschi).